Voglio il tuo nome qui,
calpestare pretendo ciglia false,
delicati lombrichi, lampi neri,
la terra bagnata, le lagrime vili.
Voglio pestare denti o fango o un bacio,
il calore defunto cui un vento oscuro alita,
la gola o ghiaia fredda al piede nudo,
il petto d’ambra per la cui acqua intima brevi pesci trascorrono.
Sfera tonda da cui l’aria non fuggirà,
di dove non andrà un sospiro di nebbia
col suo fuoco recente mai a bagnarsi negli occhi.
Voglio pestare una cintura, anello,
fragile anello, cerchio delicato,
il gesto che la mano può abbracciare
quando un corpo nel suo centro si dona.
Voglio cosce d’acciaio, labile muschio forse,
voglio forse la dolcezza recente
quando la pioggia cade su un inguine indifeso.
Voglio terre o la polvere,
voglio gli azzurri baci,
il rifiuto improvviso che consuma la bocca
quando un corpo o una luna deflagra come ruggine.
Amore come lira,
come le corde rotte,
musica cinerina,
oro che duole intero,
luna che là staccata vede che l’aria è assente.
Vicente Aleixandre, La distruzione o amore (traduzione di Francesco Tentori Montalto)